Il diavolo veste Prada



Partiamo dal cominciamento, ovvero dal libro: neolaureata ventitreenne coltiva il sogno di scrivere per il New Yorker ma trova il suo primo impiego a Runway (leggasi :Vogue), la cui equipe vive nel continuo e completo terrore della caporedattrice, Miranda Priestly (leggasi: Anna Wintour). Il suo anno di schiavitù, che dovrebbe aprirle le porte di una rosea carriera, travolge la sua vita privata e la espone alla tentazione di un uomo affascinante e di pochi scrupoli; dovrà farsi forte di tutta la sua moralità per fronteggiare la situazione. Nel film la trama non è stata modificata se non marginalmente, ma forse è più evidente la fascinazione che la giovane Andrea comincia a provare, suo malgrado, per il patinato mondo della moda e del lusso.
Ma non è solo l'ambiente della passerella ad essere vessato da certi atteggiamenti prevaricatori... Miranda ne è una summa a tratti parodistica, ma mi è capitato di assistere a scene quasi ridicolmente simile a quelle più assurde tra Andy, Emily e Miranda, o di subirle.
Cerchiamo, tutti noi, di fare un po' di resistenza silenziosa a questo assetto retrivo: non è acconsentendo passivamente alla mancanza di gentilezza e di rispetto che si arriva da qualche parte. Lavoriamo tanto e bene, pretendiamo di essere riconosciuti come esseri umani (a cominciare dall'accettazione delle necessità di base dei sottoposti: pausa pipì e ristabilimento di glicemia adeguata). Il mondo è pieno di persone perbene, andiamole a cercare!

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