Dallas Buyers Club

2013, di JM Vallée, con M. McConaughey, J.Leto, JGarner. 117'

Ron si ammala di AIDS a causa di precedenti rapporti non protetti con una tossicodipendente. Siamo nella prima metà degli anni Ottanta e la malattia è ancora fortemente caratterizzata dal biasimo sociale in generale e apparentemente legata alle comunità gay in particolare. Per un bovaro del Texas omofobo e decisamente rozzo è particolarmente difficile dover spiegare agli amici di aver contratto l'infezione, rivelando così una prima scomoda, orribile verità: essere malati terminali è sempre disastroso, ma esserlo in un ambiente socioculturale infimo riesce ad essere ancora peggio.
Ron non si arrende e, dopo aver provato l'AZT a dosi da cavallo e senza nessuna supervisione medica, comincia a sottoporsi ad un embrione di cocktail a base di vitamine, peptide T e didanosina, con discreto successo; comincia inoltre a distribuire i farmaci, che recupera in Centroamerica e in Asia agli affetti della zona di Dallas, irritando però i vertici della FDA e dell'azienda produttrice dell'AZT.

Prima i complimenti per gli aspetti migliori, cioè gli attori. McConaughey e J.Leto sono credibili, intelligenti ed estremamente espressivi. Il primo mi ha davvero convinto sia per l'incredibile trasformazione fisica a cui si è sottoposto, ma anche per la notevole sensibilità con cui interpreta un buzzurro dissoluto che piano piano si redime passando attraverso l'ultima malattia che avrebbe mai pensato di beccarsi.
La regia è solida, ma non sempre all'altezza degli attori e della sceneggiatura. Stilisticamente, la scena che ho preferito è quella delle farfalle, ma non so se mi avrebbe colpito altrettanto in una semplice visione casalinga: merito dell'idea o del fascino del grande schermo?
Plauso al trucco, per quanto ne so poco omaggiato dalla critica, per la gestione particolare della pelle dei malati, resa con scrupolo verista.
Per quanto riguarda i temi, l'attacco alle case farmaceutiche sarebbe più interessante se non fossero ormai anni che lo fanno un po' tutti. C'è voluto decisamente più coraggio a dirne quattro senza peli sulla lingua alla Food and Drug Administration, che si erge a giudice del bene e del male a volte non si sa bene su quali basi. Non è che l'operato di questo organismo sia stato sempre così scevro da ombre. Ciononostante l'accanimento che viene mostrato nel denigrare tout-court l'AZT mi ha dato un po' fastidio: è vero che è tossico e pieno di effetti collaterali, ma è vero pure che abbiamo continuato ad usarlo fin dopo il 2000 e che ha fatto del suo meglio nei cocktail HAART finché non abbiamo avuto qualcosa di meglio.

Abbiamo visto il film nella Sala 2 dell'Ambrosio cinecafé a Torino. Rimane uno dei vecchi cinema storici in migliore stato di conservazione, ma lo schermo è abbastanza piccolo. L'audio è discreto e le poltrone sono confortevoli. 

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