La Ciociara

Di V. De Sica, con S.Loren, JP.Belmondo. 1960

Cesira è felicemente vedova e tutta la sua vita ruota intorno alla figlia Rosetta, creatura immacolata e fiduciosa. Durante i bombardamenti di Roma le due donne sfollano in Ciociaria, dove affrontano fame, povertà e le conseguenze che esse hanno sull'animo umano. Al momento dell'armistizio la tragedia, invece di arrestarsi, arriva al suo culmine: prima Michele, loro amico idealista e profondamente morale, viene portato via da un gruppo di tedeschi in fuga, poi madre e figlia subiscono la violenza di gruppo di un plotone di soldati marocchini (alleati!) in una chiesa. Rosetta ne è a tal punto stravolta da tramutarsi subitamente in una donna più che disincantata.



Grande De Sica, in una trasposizione magistrale del libro di Moravia che denuda in tutta la sua crudezza l'inutilità dell'orrore della guerra, la bassezza cui l'essere umano può giungere quando non c'è un principio sano a guidarlo e la violenza lo sporca, e la colpevole mancanza di tutela il Potere manifesta improvvidamente verso chi lo legittima quotidianamente. Assurda, nella sua verità, la critica del gerarca nazista che sottolinea al notabile del paesello la sperequazione che in tempi così difficili si acuisce tra le classi: chi ha la dispensa rifornita, chi per miseria è stata privata di suo figlio neonato. Per non parlare della famosissima, agghiacciante scena dello stupro. Non solo in una cappella, luogo che per antonomasia dovrebbe offrire protezione: peggio è che i responsabili del plotone prendono Cesira per matta e l'abbandonano sul ciglio di una strada a raccogliere il suo rancore.
In questo teatro di sfacelo, la perfezione del film è nella speranza e nella purezza che Moravia e De Sica riescono a infondere nel racconto, grazie al personaggio di Michele, un "sovversivo" (che nella definizione di Cesira è una brava persona che "non c'ha tanta voglia di lavorare") spirituale, che litiga col padre perché non si adagi nell'italianismo deteriore che aspetta sempre di essere salvato da qualcun altro, che anche dopo aver rotto i ponti con i ranghi ecclesiastici cerca (senza successo) di leggere il Vangelo agli latri che lavorano e si agitano per le loro piccole cure, e che coltiva ancora l'Amore, in mezzo al delirio e alla vacuità degli eventi. Lui solo, dalle fattezze bruttarelle di Belmondo, è presenza salvifica in vita per la madre, resa ladra dalla fame, e da morto per la figlia, ripescata dall'abbrutimento proprio dalla notizia del suo assassinio.
Splendida la Loren, incorniciata da una fotografia perfetta, capace di rappresentare la Madre per eccellenza, nuova Pietà, bella da togliere il fiato e geniale nella disperazione. Meritatissimi tutti i premi da lei raccolti, primo tra tutti l'Oscar, ma anche BAFTA, David di Donatello e molti altri.

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