Memorie di una Geisha

Con Z.Ziyi, M.Yeho, G.Li, K.Watanabe; di R.Marshall, 2005

Piccole, Chyo-chan e sua sorella subiscono una sorte comune a tante ragazze di povera condizione, e vengono vendute dalla famiglia al quartiere dei piaceri di Tokyo. La più grande, rozza e bruttina, finisce in un semplice bordello, mentre Chyo in una okiya elegante, dove ha modo di conoscere tutte le meschinità, ma anche i sentimenti profondi e acuti, di cui una donna è capace, soprattutto grazie alla senpai Hatsumomo, che la tiranneggia senza sosta. Grazie alla geisha più anziana Mameha, Chyo riesce a completare la sua educazione e avvicinarsi all’uomo di cui si è innamorata da bambina, ma la guerra ha altri programmi…


Tratto fedelmente da un famoso romanzo (di un americano), ne riprende pregi e difetti. 
Tra i primi si possono annoverare senza dubbio l’immaginario estetizzante che rende elegante ed etereo l’ambiente delle geishe e l’estremo romanticismo della storia. I personaggi di Chyo, Mameha e Hatsumomo si stagliano vividi sullo sfondo delicato, una cascata di fiori di ciliegio su una lacca preziosa. Sembra quasi di sentire la consistenza della biacca, il peso delle acconciature, i profumi raffinati e il kajal con cui “chi vive di arte” cancella e ridisegna i suoi tratti per confondere la sua identità e presentare al cliente un rituale affascinante più che una forma di prostituzione. 
Il difetto più evidente è la rappresentazione di un Giappone da cartolina che non si macchia neppure dopo l’onta della sconfitta. Le attrici sono cinesi (o sino-americane, nel caso di M.Yeho), per avvicinarsi meglio al gusto occidentale: l’unica giapponese, Zucca, sembra per assurdo ridicolmente fuori parte, e bruttarella per giunta.

Mi è piaciuto molto e quando uscì andai a vederlo al cinema per ben due volte, oltre al fatto che lo riguardo ad ogni passaggio, ma senza dubbio racconta in modo zuccheroso una vicenda romantica una sensibilità del tutto americana che lo apparenta a Pretty Woman piuttosto che non ai racconti, assai più disturbanti per noi, di Kawabata o di Tanizaki.

Commenti

  1. Ricordo che lo vidi al cinema e che mi piacque molto. Le scenografie erano belle e anche i costumi ma all'epoca non avevo chissà quale dimestichezza con il Giappone autentico. Trovo che il problema del "troppo bello" sia comune anche ad altre pellicole americane ambientate in Giappone, come l'opinabile L'ultimo samurai. Escludendo la storia ridicola, le scenografie e i costumi anche lì erano molto belli e curatissimi e mostravano una popolazione elegante e raffinata anche nelle azioni quotidiane dei più poveri ^^

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    1. A me ľaltra o samurai non era dispiaciuto, ma penso che non fosse molto fedele al libro (francese) da cui era stato tratto, e che dipingeva un Giappone decisamente più realistico!

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